‘NDIAYE DIATTA NDIAYE’

The Soul of African Rhythm

Dance Documentary in Senegal, 2002-2003 (33' min)

Featuring Senegalese traditional artists (singers, dancers and musicians)

Winner of the PeoplE’s Prize at XXVIII International Tourist Film Festival "Filmondo" (Milan, 2003)

Patronage of the Tourist Council of Senegal

Post-production Videocamp Milan

Antonio Rufo: co-funder

Raffaele Rufo: director, executive producer and writer

Mass N’Diaye: executive producer, choreograper, singer and dancer

Soeibou Niang: historical and cultural consultat at the Yang Yang archaeological museum (Louga)

Massamba Gueye: cultural consultant at the Cultural Centre Blaise Senghor, Dakar

 

Synopsis:

Senegal: the alchemies of a distant civilization land in Europe clinging to the words, the notes and the steps of a caste of traditional artists, the ‘Griots’, capable of taking their legacy into the third millennium. The Griots N'Diaye of Louga survived invasions, ethnic crossings, slavery, and the modern African diaspora. Musicians, dancers and singers, the descendants of this dynasty are exiled from country to country to restore that ancient glory. We knocked on the doors of that past to trace the roots of their rhythm. The invitation has been accepted. A difficult, intense, overwhelming love.

 
I went searching for a source of initiation into the alchemies of Senegalese society linked to the fundamental role of rhythm. Result? A 33-minute documentary film, an intrigue of authentic sonorities and movements beyond the traditional equation: Africa = poverty, disease, slavery, holidays, ocean, safari ... and who knows what other prejudice linked to the fact of not knowing, not having had a direct experience. This was my first experience as a film director. And it turned out to be really interesting.
— Raffaele Rufo, director and executive producer

NDIAYE DIATTA NDIAYE: THE SOUL OF BLACK RHYTHM

Article written by Raffaele Rufo and published in the Italian Magazine ‘Percussioni’, vol. 14, May 2003, pp. 36-41

 

Tutto ebbe inizio allorché, inconsapevole dell’uragano che avrebbe di lì a poco spazzato via ogni certezza, fui accolto nella casa dei griot N’Diaye a Louga, nel Senegal nord orientale. Risultato di una rispettosa attività di ricerca etnomusicologica, giunge dopo un anno a compimento il documentario N’Diaye Diatta N’Diaye, l’anima del ritmo nero, un viaggio alla ricerca delle radici profonde delle tradizioni culturali e musicali in Africa occidentale per risaltarne l’intima connessione con la massima forma espressiva presso quei popoli: il ritmo.

 

Il Griot N’Diaye: un ponte tra passato e presente fondato sul ritmo

Doole yemoul, doole yemoul (siamo invincibili)… Così recitava la litania con cui il griot N’Diaye affrontava spavaldo i nemici del suo imperatore vantandone le gloriose gesta. Col suono del suo tamburo il griot precedeva gli eserciti in marcia verso il nemico guadagnandosi un posto di prestigio a corte col ruolo di custode della genealogia del trono e di maestro di cerimonia. I regnanti erano degli N’Diaye… N’Diaye erano anche i loro griot. A distanza di quasi un millennio, l’avvento delle moderne democrazie ha decretato la fine dei reami quasi ovunque tra i paesi dell'Africa occidentale, di cui ci occuperemo in particolare nel corso della seguente analisi etnomusicologica. Sola spesso dimora la cultura, impotente, di fronte all’affermazione assolutistica del principio democratico al di sopra di qualsiasi altra considerazione, e assieme ad essa giacciono l’identità di ciascuna dinastia e il codice genetico di ciascuna etnia. Ma i segni del tempo che erode le tradizioni come gli oceani sciolgono lentamente i ghiacci non sono riusciti a deturpare il volto dell’Africa degli antenati. I griot eseguono con continuità le pratiche autentiche dei culti e delle manifestazioni, garantendo il perpetuarsi della cultura nella vita di quei popoli. Questo patrimonio di tradizioni ha subito storicamente le influenze del sincretismo religioso e del colonialismo e convive oggi con una fase economica che, pur beneficiando dei flussi migratori verso i paesi ad economia di capitale, non evidenzia ancora l'avvio di uno strutturale processo di modernizzazione. Nel corso dell'ultimo millennio, culminato in un secolo di battaglie politiche per l'indipendenza degli stati nazionali, le forze di controllo delle masse (religione, politica e lobby economico-finanziarie) hanno dovuto affrontare le indecifrabili chiavi di lettura del paganesimo alla ricerca di un lasciapassare che aprisse loro le maglie del tessuto sociale. Ma, nel farlo, hanno spesso fatto uso di metodi invasivi e mirati alla conquista più che alla conoscenza e all’integrazione.

 

La famiglia dei Griots N’Diaye

I griot N’Diaye sono una dinastia di casta originaria del grande impero di Djolof che regnò dal 1252 al 1549 d.C. sui territori dell’odierna Repubblica del Senegal. La casta dei griot è depositaria da generazioni del culto dell’antico in tutte le sue forme: percussioni, danza, canto e poesia.

 

Demba Dieye N’Diaye

Demba Dieye N’Diaye è nato a Louga, nel Senegal nord orientale. L’arte della percussione e la funzione di griot nelle cerimonie ufficiali Demba Dieye la pratica con amore e con una tale maestria da divenire, all’indomani dell’indipendenza, 'ambasciatore' del suo paese con il Cercle de la Jeunesse. Nel 1962 si classifica primo sui centocinquanta paesi rappresentati al Festival internazionale di Helsinki; e ancora in Messico, in Francia, in Germania, in Tunisia e in tutti i paesi limitrofi tiene alta la fiaccola della percussione Wolof.

 

I piccoli griot N’Diaye

L’iniziazione delle nuove generazioni all’arte della percussione è una tappa obbligata presso la casta dei griot. Non esiste una scuola per diventare griot. I capofamiglia formano figli e nipoti durante cerimonie ed esibizioni.

 

Sin dallo schiavismo, che ha condotto milioni di neri adulti lontano dalle loro terre già consapevoli della propria cultura (nei campi di cotone il jazz non era forse un lamento africano che usciva dalle viscere di questi negri?), il loro dolore, la loro angoscia, tutto è stato confinato nel canto e nel ritmo. I percussionisti africani, custodi di questo tesoro millenario, sono il risultato dell’esigenza e dell’esistenza del ritmo come punto di convergenza tra i loro popoli. E se oggi il ritmo africano raggiunge tutti i continenti e gli auditorium sparsi per il villaggio globale, occorrerebbe iniziare il pubblico ai suoi fondamenti, alle sue specificità, e meglio ancora al suo significato profondo.
— Raffaele Rufo

Il ruolo del ritmo nel tessuto sociale africano

Sin dallo schiavismo, che ha condotto milioni di neri adulti lontano dalle loro terre già consapevoli della propria cultura (nei campi di cotone il jazz non era forse un lamento africano che usciva dalle viscere di questi negri?), il loro dolore, la loro angoscia, tutto è stato confinato nel canto e nel ritmo. I percussionisti africani, custodi di questo tesoro millenario, sono il risultato dell’esigenza e dell’esistenza del ritmo come punto di convergenza tra i loro popoli. E se oggi il ritmo africano raggiunge tutti i continenti e gli auditorium sparsi per il villaggio globale, occorrerebbe iniziare il pubblico ai suoi fondamenti, alle sue specificità, e meglio ancora al suo significato profondo.

 

Le fondamentali varianti del ritmo africano

In Africa tutti i passaggi della vita sono accompagnati da un ritmo specifico, che ne rende possibile la condivisione con il resto della società. Malgrado l’estensione del continente e la varietà culturale tra le numerose etnie, il ritmo in Africa occidentale si compone di due generi fondamentali: il ritmo Mandingo, legato principalmente al tamburo djembe e diffuso in una vastissima area che dal sud del Senegal giunge sino al Cameroun; il ritmo Wolofo-Serer, che ritroviamo al centro e al nord del Senegal e in una parte di Gambia, che viene scandito dalle note del tamburo sabar.

Esistono altre due varianti ritmiche più antiche ma che non comportano alcuno strumento. La prima, detta Tassou, emerge dal battito cadenzato di piedi e mani ed è sostenuta dalla parola (pratica paragonabile al gospel). L’altra variante è detta Mbabor, una sorta di recital in cui la litania è intervallata da un ritornello intonato dal coro.

 

Le pratiche del ritmo Wolofo-Serer

L’essenziale dei ritmi autentici nella tradizione Wolofo-Serer sono:

  • i ritmi di insediamento di un capo gerarchico, di rigore in alcune regioni per la nomina del capo villaggio, del rabdomante o per la successione a capofamiglia;

  • i ritmi di celebrazione, che sono specifici di ciascuna cerimonia, come il Laban per il matrimonio, il Beukeuta per il battesimo e il Leul o Ngomar per la circoncisione;

  • i ritmi di piacere che accompagnano feste e danze pubbliche, quali l’omonimo Sabar, il Tanna Ber e il Dagagn, quest’ultimo con la funzione di serenata. Tali festeggiamenti consentono alle comunità che se ne fanno capo di mettere in bella mostra la propria generosità di fronte al resto della popolazione. Le dimostrazioni hanno luogo nel guevv, cerchio concentrico attorno al quale si ritrovano orchestra e pubblico. Gli spettatori ingaggiano, entrando nel cerchio uno per volta, una sfida con il griot, che li trascina in un crescendo di ritmo, fino all’esaltazione.

 

Il ritmo terapeutico dello Ndep

Ma il ritmo del sabar non accompagna soltanto feste, celebrazioni e cerimonie ufficiali: esso è anche terapeutico. Il ritmo terapeutico dello Ndep è un ritmo alquanto speciale, riconoscibile per la cadenza, la solennità ed il crescendo, caratteristiche che ne consigliano l’esecuzione solo in particolari frangenti, per evitare che persino chi non è stato invitato a parteciparvi rischi, ascoltandolo, di cadere in trance. Pratica curativa per sconfiggere gli spiriti del male attraverso la percussione, lo Ndep affonda le sue radici nell’Africa pagana e ha fatto il giro del mondo, giungendo fin nelle isole caraibiche e nelle Antille, dove è conosciuto come vudù. Lo Ndep è l’antenato di tutte le pratiche folcloristiche con processione. Eseguito nel rispetto di tappe precise, la sua forza mistica e il suo andamento incalzante emergono nel ripetersi di movimenti circolari attorno al posseduto. Ancora oggi in alcune parti dell’Africa i maestri di cerimonia dello Ndep organizzano periodicamente dimostrazioni durante le quali gli adepti si ritrovano per rinsaldare i legami con la comunità e prendersi la propria dose di ritmo e di cura. Lo Ndep è una delle pratiche pagane che disturba maggiormente, mettendolo in discussione, l’ordine stabilito dalle religioni, dalle credenze e dalle classi sociali. Per questo motivo esso viene osteggiato da coloro che rifiutano un passato che possa riportare a galla un’africanità con la quale non vogliono più identificarsi.

 

L’orchestra Sabar

Il sabar ha origini regali, ed è stato creato dal re Sakoura Mande nel sesto secolo d.C. in un villaggio della regione del Sine, nel Senegal centrale. Nell’undicesimo secolo, data di introduzione dell’Islam in Senegal, il sabar dovette affrontare l’ostilità dei fanatismi religiosi che, mettendone in risalto le origini pagane, cercarono di sabotarne la tradizione. Da quando il sabar è uscito dal contesto della corte per assumere una colorazione popolare, esso ha conquistato amore e attaccamento in tutti gli strati della popolazione superiore a qualsiasi altra sonorità. L’orchestra sabar appartiene alla tradizione Wolofo-Serer ed è composta da sette elementi essenziali, ciascuno dei quali ricopre un ruolo fondamentale secondo l’intensità del suo suono, che è soggetta alla forma e alla misura del tamburo. Tutti gli elementi vengono suonati con una mano libera e impugnando nell’altra un piccolo bastone.

Nato con la funzione di convocare le genti a corte, il Khin è lo strumento più antico dell’orchestra sabar ancora in uso. Le sue caratteristiche sono la forma conica e il fondo aperto. Solo la parte superiore, dove viene posata la pelle, resta accessibile. Si tratta di un tamburo leggero e dal suono assordante, da cui il nome, che in lingua Serer significa “tuono”. Nel 1250 viene costruito il Lamb, per essere utilizzato durante gli eventi di animazione della corte. Intagliato in un grande tronco, il Lamb viene svuotato fino al fondo ma l'estremità inferiore resta chiusa, caratteristica che lo dota del suono più potente dell'orchestra, paragonabile al do maggiore della nostra scala musicale. Tutti gli altri elementi della batteria di tamburi vengono accordati a una nota inferiore. Dopo il Lamb viene introdotto lo Nder, con il compito di dirigere l’orchestra. Come dice il suo nome, che significa “centro” in lingua Serer, lo Nder si pone al centro della formazione. All’interno dell’orchestra sabar è possibile trovare Nder diversi per forma e sonorità. Lo Nder Balla ha la funzione di ridurre al minimo i vuoti dovuti all’assenza nella batteria di uno strumento col ruolo di contrabbasso, consentendo perciò il raggiungimento di un crescendo ritmico.

Gli ultimi tre elementi dell’orchestra sabar sono di origine più recenti. Lo Mbeng Mbeng, il cui nome significa “rombo”, è uno Nder più minuto ma con un’apertura più ampia verso l’alto. Il Tunguni è lo strumento più piccolo dell’orchestra ed è stato creato per svolgere il ruolo di intermediario tra i diversi Nder. Il suo nome significa “pigmeo o nano”. Infine il Talmbat, di dimensioni minori del Lamb tanto per misura quanto per profondità interna della cassa, elementi che gli conferiscono il ruolo di “alto” dell’orchestra. Il suo nome significa “base di ritmo” o “tempo”.

 

Ritmo e fuoco

Oltre che dal culto del ritmo, i popoli africani sono accomunati dalla gelosa venerazione del fuoco, cui viene attribuita una dimensione superiore. Materia di dominazione e di adorazione, il fuoco è da sempre oggetto di invidie e spesso di guerre tra i popoli. L’idolatria del fuoco per gli africani è un culto antecedente le religioni nella ricerca meditativa e di una forza rigeneratrice dell’anima. Il fuoco è da sempre stato al centro di ogni avvenimento della vita africana (feste, processioni, venerazioni), fino a diventare in seguito fondamento delle pratiche quotidiane (cucina, trasformazione e distruzione). E se, parallelamente, il ritmo ha sempre accompagnato l’africano in ogni suo movimento, va riconosciuta l’esistenza di similitudini importanti tra ritmo e fuoco, quel fuoco da cui nascono le fiamme. Anche il ritmo è una fiamma che riscalda il corpo e lo rinvigorisce, fino a portarlo in trance. Le fiamme sono libere, trascinate dal vento che le innalza e le assopisce secondo la sua intensità. Il ritmo abita il corpo fino a liberarlo, e assieme al corpo libera lo spirito.

 

Diaspora del ritmo e evoluzione culturale

Negli ultimi decenni del secondo millennio l’Africa occidentale ha conosciuto l’emergenza di un fenomeno migratorio senza precedenti, che ha coinvolto tutti gli strati della popolazione, ed in particolare gli artisti di casta. Lasciata alle spalle la tragica esperienza dello schiavismo, i musicisti africani si esiliano oggi di paese in paese per la sopravvivenza del loro clan e per scambiare con il resto del mondo una civilizzazione culturale a lungo confinata nelle tribù. Mass N’Diaye migra (non ancora ventitreenne) dalla sua terra. Il pubblico europeo è alla ricerca di nuove sonorità esotiche, di nuovi orizzonti, di altre culture e per questo si apre, a poco a poco, alle sue manifestazioni. Ma l’avvicinamento avviene in assenza della capacità di esprimere un linguaggio comune, indispensabile per l’iniziazione ad una cultura così lontana. In questo contesto è il ritmo a svolgere la funzione di intermediario. Parallelamente a tale apertura verso l'esterno, un’ondata migratoria interna al continente ha l’effetto di ricucire gli strappi provocati dalla politica coloniale, rea di aver tracciato gli attuali confini politico-amministrativi trascurando il percorso storico della convivenza tra popoli. I maestri percussionisti provenienti da Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Senegal si incontrano sui podi multi etnici del ritmo delle grandi capitali per recuperare e condividere quelle pratiche che il tempo e la distanza avevano destinato all’oblio. Gli artisti offrono i ritmi propri delle tradizioni di ciascuno e formano dei giovani talenti ai quali svelano i segreti di un insieme molto più vasto ed eterogeneo di strumenti.

La combinazione di questi due distinti processi di scambio tra civiltà genera un’opportunità senza precedenti per l’evoluzione della società africana, facendo emergere palesemente il paradosso tra volontà di conservazione e necessità di sviluppo. Per anni le elite di intellettuali ed artisti hanno promosso la difesa ad oltranza della propria identità culturale, mentre autorità politiche e governi si arricchivano coi proventi della corruzione, lasciando le popolazioni nell’arretratezza e nell’ignoranza. In tal modo la cultura è venuta meno al suo compito tanto delicato di interprete dei fenomeni sociali in grado di promuovere alternative costruttive per affrontare problematiche ormai giunte a maturazione. L’atteggiamento di chi si nasconde o si compiace dei propri segreti è risultato inefficace di fronte all’avanzata irriverente del progresso. L'evoluzione della storia della società africana richiede uno sviluppo del suo patrimonio culturale che lo adegui al tempo e allo spazio. Nelle alchimie di questo patrimonio, vincolato alla diffidenza e alla paura di nuove indesiderate intrusioni, si celano le risposte agli appuntamenti con il futuro.

 

Mass N’Diaye

Mass N’Diaye è nato a Louga nel 1970. Terzo figlio di Demba Dieye, Mass si è affermato in Italia e in Spagna come percussionista, cantante e ballerino coi gruppi Konkoba e Dianbutu Thiossane. Accanto alla danzatrice Barbara Mousy propone da oltre quattro anni un programma di seminari intensivi di danza africana e percussioni, che tocca tutte le regioni italiane con organizzazione da parte di scuole di musica e danza e di centri culturali ed associazioni. La fiducia conquistata tra i suoi studenti consente oggi a Mass N’Diaye di organizzare ogni anno uno stage in Senegal, da vivere nella magica atmosfera della sua famiglia. Per informazioni ed organizzazioni eventi e seminari www.genie.it/utenti/afrodanza, mousy@tiscali.it.

Di Mass N’Diaye sono le musiche di N’Diaye Diatta N’Diaye, contenute in Fass e in Dianbutu Thiossane, entrambi editi in Spagna dalla casa discografica Nubenegra (www.nubenegra.com).


Soeibou Niang 

Soeibou Niang opera come consulente culturale presso il museo storico di Louga e come direttore artistico del centro culturale Ngalam nella stessa città. Profondo conoscitore della storia e delle tradizioni culturali delle popolazioni Wolofo-Serer, Soeibou Niang collabora frequentemente con organizzazioni ed associazioni internazionali all’interno di progetti di scambio culturale con il Senegal. Sua è l’analisi storica su cui si basa il percorso etnomusicologico del documentario.

 

Massamba Gueye e il centro culturale Blaise Senghor di Dakar

“Non si tratta di circostanze casuali, loro hanno il ritmo nel sangue. Questa famiglia vive di ritmo e per il ritmo. Questa famiglia è ritmo.”

Massamba Gueye collabora con il centro culturale Blaise Senghor di Dakar, dove tiene corsi di musica e danza africana. Poeta e cantastorie di fama nazionale, ha collaborato con la troupe del documentario per tracciare l’intima relazione tra la storia della famiglia di griot N’Diaye e l’origine del ritmo Sabar. Per saperne di più sulle attività (corsi di teatro, musica, canto e percussioni) del centro culturale Blaise Senghor, l’indirizzo è: Centre Culturel Blaise Senghor, C.A.P 7001 Dakar Médina, Senegal.


N’Diaye Diatta N’Diaye, l'anima del ritmo nero è stato diretto da Raffaele Rufo e prodotto in collaborazione con VIDEO CAMP SRL. Il documentario ha ottenuto il patronato del Consolato a Milano della Repubblica del Senegal. Per informazioni e liberatorie per la proiezione del film, contattare Raffaele Rufo raffaele.rufo@gmail.com.

N’Diaye Diatta N’Diaye, l'anima del ritmo nero ha partecipato al XXVIII Festival internazionale del film turistico di Milano – FILMONDO – nella sezione dedicata alla cultura; la proiezione è avvenuta il 6 aprile 2003.

 
The dance documentary ‘Ndiaye Diatta Ndiaye: The Soul of Black Rhythm’, was cited and used as substantial field-based material in the Bachelor thesis ‘La danza tradizionale africana: un’esperienza in Senegal’, written by Rizzi Sabatina at IUSM, Istituto Universitario di Scienze Motorie, Rome (Academic Year 2002-2003).

For references and quotes from the text of this page, cite Raffaele Rufo, 2023, ‘Ndiaye Diatta Ndiaye: The Soul of Black Rhythm’, https://www.raffaelerufo.com/portfolio/ndiaye-diatta-ndiaye.